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Alle parole di sua madre potrebbe provare in Tribunale, la ragazza mi piantò pronta gli occhi in viso come se avesse voluto leggermi nel pensiero. Non capii affatto uno sguardo simile e me n’andai senza l’onore di aver salutato lei.

Al Tribunale un usciere cui domandai di Molesin mi guardò in un modo poco lusinghiero; un altro che udì, sorrise. Un po’ alla volta mi fecero sapere che in Tribunale, da un pezzo, per ordine superiore, il signor Molesin non ci poteva bazzicare. Una volta ci veniva per affari ufficiosi o per aste. Non era nè avvocato, nè dottore, nè niente; nemmanco aveva veduto la porta dell’Università. Per trovarlo bastava andare al caffè Socrate verso le tre. Sospettai allora di aver capito lo sguardo della signorina Lisa e la ragione per cui il sottile amico si sottoscriveva D. Molesin e non dottor Molesin. Andai al caffé Socrate; sarei andato fino a Ponte di Brenta per ghermirlo.

Il cranio pelato, il fazzoletto rosso e giallo, il soprabito marrone eran li dentro, in un mucchio presso l’entrata. Prima di prendere il caffé, pronto davanti a lui, Molesin stava considerando e misu-