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Diffidavo dell’onorevole Molesin, ma non lo avrei creduto, fino a quel giorno, l’audace briccone che allora scopersi. Alla Banca Popolare di Treviso non avevano mai udito parlar di lui nè dei Vicarelli, e nè fuori di Porta Godalunga nè in alcuna altra via o sobborgo dì Padova esisteva alcuna ditta Zonca.

Il furfante aveva giuocato una carta arrischiata per mungere ancora un poco le sue vittime, specialmente quei disgraziati Vicarelli cui sarebbero anche toccate le spese per la rinnovazione del bando. Ma il giuoco essendo mal riuscito mi disposi a far sì che l’ottimo dottor Angelo pagasse. Andai a Santa Sofia dove sapevo che abitava, e trovai presto, sotto un portichetto oscuro, a fianco d’una porticina verde, il riverito nome «Angelo D. Molesin — secondo piano». Egli era uscito, ma la sua signora, che venne in persona ad aprirmi, udito il mio nome, mi assicurò che l’avvocato avrebbe rincasato assai presto, e mi fece passare in un salottino dove sua figlia, una giovinetta sui tredici anni, stava ricamando. V’era nell’aspetto pulito e triste della stanzetta,