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deva un sensibile accento di stima per sè stesso e di compatimento per me. Insomma il nome Molesin, che in veneto vuol dire morbido, non andava certo bene alla corteccia del dottor Angelo. Egli non era nè morbido, nè untuoso. Tuttavia aveva ragione il mio domestico se, considerando le sue visite eterne, lo chiamava «dolor tacaizzò» dottore attaccaticcio. Malgrado la sua ruvidezza esteriore, aveva certo una gran facilità di appiccicarsi alla gente. Per non dire dei ricci di castagna, vi hanno seccumi ruvidi d’erba, frutti aridi e maligni di prati montani, che si attaccano alle vesti così. Si era fatto avanti in questo affare capitanando la merciaia e aveva finito con appiccicarsi a tutti, creditori e debitori. Evidentemente le sue pratiche officiose non miravano ad altro che a tirar le cose in lungo, appunto cole molesine come diciamo noi veneti, per dar tempo al Molesin di viaggiare ancora fra Padova, Monselice e la mia residenza, di conferire con Tizio e con Caio e di procreare le sue mostruose epistole con quei caratteri compassati e sottili che solo a vederli mi opprimevano lo stomaco.