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prolissità che riempiva fogli e fogli di prosa curialesca, brodosa, tutta seminata dì spropositucci. L’altro non mancò alla sua volta di dipingermi l’avvocato Molesin come un vampiro. Quanto a me m’andavo persuadendo che fossero due valentuomini eiusdem farinae. Il giallognolo dottor Angelo era di una farina per lo meno assai mal cotta, benché impastata da oltre cinquant’anni. Aveva il cranio pelato; pochi cernecchi grigi dietro gli orecchi lustri e sudici; nella faccia scarna, terrea, e negli occhi profondi una espressione fissa di malumore bilioso; le mani ossute e nere. Portava sempre lo stesso soprabito color marrone, lo stesso fazzoletto rosso e giallo al collo, gli stessi calzoni bigi, e si poteva sospettare che portasse anche sempre la stessa camicia. Pareva una rispettabile, odiosa figura di onesto professore pedante, nemico della gioventù, dell’amore, del riso, della luce e dell’acqua. Non aveva modi ossequiosi; sorrisi e complimenti non erano affar suo; qualche volta pareva durar fatica a levarsi il cappello anche nel mio studio. Compreso della propria sapienza, quando degnava largirmi qualche consiglio pren-