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ranza. Si erano tanto compenetrati nella persona del loro illustre amico che, rispondendo a chi domandava notizie di lui, usavano sempre il nominativo plurale, dicendo: «stamattina andiamo meglio, stasera stiamo peggio,» fino a che fosse venuto il momento di dire: «siamo morti».

H. aveva una paralisi cerebrale, non gli restava che un barlume d’intelligenza. Si scuoteva solo quando gli dicevano che la Corte o i grandi Corpi dello Stato avevano mandato a chiedere notizie, che erano giunti telegrammi di personaggi importanti, che i giornali si occupavano della sua malattia facendo voti per la sua guarigione ed esprimendo quelli del popolo intero. Allora il senatore balbettava con viso ebete: «Ah, la Corte» «Ah, il Senato» «Ah, la Camera.» Per gli altri non veniva che un piccolo gemito sordo. Quando arrivava uno di questi messaggi, uno di questi articoli, persino l’amico che sturava la bottiglia di cognac e l'altro amico che attizzava il fuoco nel caminetto si sentivano crescere di valore e di maestà. Venivano anche parecchie signore per contendersi la gloria di dare a H. un