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«Ebbene, — disse il Principe, — il conte B. vuole ch’io ci vada.»

Il senatore H., illustre storico e filosofo, era considerato una gloria nazionale. Fiero repubblicano nella sua gioventù, nemico quasi personale del Re, si era poi riconciliato, per effetto, sopratutto, d’una vanità smisurata, con la monarchia, ma senza modificare le sue idee filosofiche e religiose, abborrite dalla pia Principessa Guglielmina.

«Naturalmente tu non ci andrai» — diss’ella. S. A. R. s’irritò moltissimo e rispose che ci andrebbe. In fatto egli non avrebbe voluto andarci e si era difeso a lungo contro il suo ministro. Non sapeva apprezzare il valore intellettuale di H. Quella sua clamorosa incredulità gli era antipatica e le ingiurie scagliate contro il defunto suo augusto fratello gli erano rimaste fitte nel cuore, anche dopo la conversione del filosofo alla monarchia. Ma S. A. era debole e non aveva saputo resistere al ministro che gli parlava di un onore da rendere a H. in ossequio al sentimento nazionale, del pericolo che un rifiuto fosse attribuito ad in-