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che pare a me. E dopo tutto vadano anche gl’interessi, vada tutto, cosa m’importa? È roba tua, già... Le saure!... — diss’egli rabbiosamente al cameriere che aspettava in disparte, impassibile.
Questi uscì.
La contessa si vestì e si pettinò in un lampo, giungendo spesso le mani negli slanci di tacite preghiere, spiccando ordini ad ogni momento, facendo correre per la casa i domestici a frustate frenetiche di campanello. Era un saltar su e giù di costoro per le scale, uno sbatter usci, un chiamarsi, uno sgridare, un ridere e un imprecar sommesso. Le finestre che guardavano il cortile funesto furon tutte chiuse subito, anche perchè non si udissero strillare le figlie della morta; pure un triste odor di cloro spirava già per la casa, copriva già nella camera della contessa il delicato profumo di Vienna ch’era come l’aura sua.
— Dio mio! — diss’ella rabbrividendo come se avesse odorata la morte. — Adesso m’ammorbano tutto. Presto nei bauli, presto nei bauli! E chiudere subito! Io muoio se porto via quest’odore. Non sanno che il cloro è inutile? Che brucino,