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Il bambino strillava chiamando la mamma. — Va — disse la contessa — giuoca con lui, fallo stare allegro, fa tutto quello che vuole. Sta quieto, caro! — gridò. — Vengo subito!

Corse da suo marito.

La contessa aveva una paura cieca e folle del colèra. Solo la passione per il bambino era più cieca e più folle. Ai primi rumori del morbo era fuggita dalla città, col marito, nella sua villa, nello splendido podere da lei recato in dote, confidando che il colèra non vi sarebbe penetrato nel 1886, come non vi era mai penetrato prima, neppure nel 1836. E adesso lo aveva in casa, nel cortile rustico della villa.

Entrò, scapigliata e discinta, dal conte; e, prima ancora di parlare, diede al campanello due strappate furibonde.

— Lo sai? — diss’ella con due occhi spiritati. Il conte, che stava facendosi la barba flemmaticamente, si voltò, col pennello insaponato in mano, e presa un’aria stupida, rispose:

— Che?

— Non sai della Rosa?