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— Piano! — fece la contessa, sottovoce, ma con sdegno. — Cosa fai stamattina? Dove hai la testa? Ecco che hai svegliato il bambino.
Infatti il piccino s’era svegliato, piangendo, nel suo lettuccio.
La signora alzò li capo dal guanciale e fece verso il lettuccio un imperioso: — Zitto!
Il bambino si chetò subito, non mise più che qualche breve vocina dolente.
— Questo caffè! — disse la signora. — Sei stata dal conte? Tien fermo! Cos’hai?
Cos’aveva, infatti, la cameriera? La tazza, la sottocoppa, la zuccheriera, il bricco e il vassoio susurravano qualche cosa di sospetto col loro tremolio. La contessa alzò gli occhi.
— Cosa c’è? — diss’ella posando la tazza.
Se il viso della cameriera era contraff’atto, quello della dama non era adesso meno turbato dallo sgomento e dall’incertezza.
— Niente — rispose la donna, tremante. La contessa le afferrò il braccio col vigore di una fiera.
— Parla — diss’ella.