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Il Re tacque.
— Io non posso assolutamente — riprese Heribrand — dare a V. M. il consiglio che desidera.
— Che desidero! — esclamò il Re sdegnosamente. — Che desidero! Guardi là quel vapore coi fanali rossi che fila adesso nel chiaro di luna. Là vi è un ragazzo che va a studiare l’arte a Roma con i denari miei; desidero esser lui! Ecco quello che desidero! Scusi, generale, Lei sa che Le ho sempre voluto bene, Lei è il primo cui mi rivolgo dopo i personaggi ufficiali, il primo a cui domando un consiglio, e mi parla così!
Il generale esitò un momento e rispose quindi con voce sommessa, ma ferma:
— No, Sire non sono il primo.
Il Re trasalì e piantò gli occhi in faccia a Heribrand che non abbassò i suoi.
— Che ne sa Lei? — diss’egli fieramente. Il generale allargò le braccia e chinò la testa come per dire: me ne rincresce, ma è inutile; lo so.
— Crede Lei — riprese S. M. con voce sconnessa dall’emozione — crede Lei avere il diritto? Non compì la frase, ma tenne addosso al generale gli occhi irritati.