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— Lei scriva ai Vicarelli, — dissi. — Lei si ritiri. Io non parlerò. Vede che non potrei avere riguardi maggiori. La riverisco.
Uscii. Nel salottino non c’era nessuno. Entrando nel corridoio che metteva alla scala udii in una stanza attigua, a sinistra, la voce della Molesin e udii, a destra, la signorina Lisa che tentava inutilmente di aprire una porta chiusa e la scuoteva convulsa. Ella guizzò, fuggendomi, all’uscio della scala ch’era aperto. Qualcuno passava sul pianerottolo per salire al terzo piano, onde la ragazza si gittò alla discesa e scomparve. La seguitai. Di fianco all’ultimo braccio di scala v’era un andito scuro, ingombro di tavole. Lisa si era nascosta lì; la scopersi accoccolata in un angolo col viso fitto fra le due pareti, scossa le spalle da singhiozzi muti, da un palpitar d’uccellino moribondo. Non ebbi cuore di lasciarla così, sapendo che l’avevo ferita io. Me le avvicinai, la chiamai dolcemente; non diè segno d’avermi udito. La toccai con la punta dell’indice; trasalì, tremò tutta, si strinse in sè come tocca da un serpente. Allora le domandai scusa, sottovoce, del dolore che le avevo