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gelo; allegorie sacre o simboli mistici. E tutte queste scene, queste figure, questi episodi mettono, nella solitudine buia e silenziosa della navata, un’intensità di vita intraducibile. L’arte è sempre quella: satura della poesia dei primitivi, fatta tutta di fede e di semplicità: Gimabue, Giotto, Simone Memmi, Pietro Lorenzetti. Giunta Pisano.

Sotto la volta del coro sono i quattro famosi affreschi, nei quali Giotto ha celebrato il trionfo della Carità, il Matrimonio di S. Francesco colla Povertà, il Voto d’Ubbidienza e la Gloria finale del Santo. Le quattro allegorie sono tradotte con un senso di verità così semplice ed efficace, da trasmutarle in quattro poemi. E certo dal divino Poema ha tratto Giotto l’ispirazione per il suo Matrimonio di S. Francesco colla Povertà. Ad attestarlo, ove non bastasse la figurazione dell’allegoria che ripete col disegno e col colore i mirabili versi dell’undicesimo canto del Paradiso, ecco il ritratto di Dante, che Giotto ha collocato in un angolo del Trionfo della Castità, un Dante austero, amaro, quasi arcigno ma assai più intenso e presumibilmente anche più vero di quello che Luca Signorelli ha dipinto nella cappella del Duomo d'Orvieto.