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gli smerli, i ricami, i trafori, le trilobature, le fughe di colonnine risaltano, spiccano, ingigantiscono; i mosaici d’oro, le grigliette d’oro, le decorazioni d oro sfolgorano e scintillano; le statue bianche, le figure variopinte sembrano animarsi, muoversi, vivere; è il miracolo, è la malìa, è l'incantesimo.

La musica intona a un tratto, nella notte dolcissima, la preghiera del Mosè.

Ora, anche la folla è di troppo. Ecco laggiù, a pochi passi, la Elva degli Schiavoni invita. Il silenzio, qui, è profondo; ancora la musica arriva sull'acqua, attraverso l’aria satura di brividi — sentimenti e memorie — ma la folla è lontana.

Vicina è invece P anima di Venezia.

Venti, trenta, cinquanta gondole nere riposano accostate, lievemente mosse dalla brezza, assicurate appena a certi contorti esili pali neri spiccanti sullo sfondo dell’acqua con una tristezza di braccia umane imploranti.

Il cielo, senza stelle, dorme — la laguna trema — qualche coppia passa, discreta e silenziosa, abbracciata, perduta nel sogno. Un sogno tanto bello da sembrare imperituro.

Forse, poco lontano cantano le Sirene e da quelle viene l'inganno.

Venezia tesse la sua malìa.