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colare incedere lento e ritmico che par narrare un’infinita stanchezza di passione: gli scialli neri ondeggiano vagamente: i lunghi occhi liquidi guardano e accarezzano, ravvivati ora da una punta di vivacità insolita: le piccole bocche rosse si schiudono al cicaleggio che ha la grazia di un gorgheggiare di canarini.

Venezia vive.



Piazza S. Marco, di sera, illuminata dai fuochi di bengala durante il concerto, assiepata, gremita, stipata.

Un miracolo.

Tutta Venezia è qui: la Venezia della marina e quella dei palazzetti superbi specchiati dal canalazzo; sopratutto, l'umile Venezia dal reticolato intricatissimo di arterie verdi che svuotano le povere case sgretolate, corrose, reggentisi per chissà quale miracolo di statica, fradicie ormai dalle fondamenta fin su in capo alle mura senza intonaco, ma ricche di ricami verdi, di ricami neri, ma coronate da un tetto a sbrendoli sopra un cornicione che è ancora un miracolo di bellezza artistica impareggiabile, o sopra poche irregolari fìnestrette che l'edera riveste e che i garofani purpurei ravvivano.