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lunga, e confrontarlo colla discesa in un hotel.
Siete scesi dal treno stanchi, sudici di fumo e di polvere, con un desiderio unico e imperioso: un bagno. A casa, il bagno c’è, ma da uno, due, tre mesi, nessuno lo adopera più: l’acqua calda non è pronta: bisogna prepararla, e cercare le chiavi degli armadi per prendervi la biancheria, e la cameriera che è con voi è come voi stanca, disfatta, presa tutta dal bisogno di riposo; e l’appartamento sa di chiuso e di abbandonato così, colle finestre sprangate e nelle stanze il buio profondo. Un senso di tristezza, poi di impazienza, poi di disagio, stringe il cuore e mette un’ombra sulla fronte... Non si dissiperà che dopo qualche giorno, quando, ripresa e riorganizzata la solita vita, la casa abbia riassunto il suo aspetto sereno di rifugio e di nido.
Nulla di tutto questo all’hotel. Voi scendete dal treno, e l’omnibus — carrozza di tutti — o il landau particolare, comandato il giorno prima col telegramma che annunziava l’arrivo e fissava l’appartamento, è pronto a ricevervi. Voi non avete neppure la noia di dovervi occupare dei bagagli: consegnate lo scontrino all’homme de peine (guai a dire: il facchino dell’albergo) e dopo un’ora i vostri bauli vengono deposti nel vostro appartamento.