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uscio che si schiuda, coll’impassibile maschera plasmata di rispetto e d’insolenza, d’ossequiosità e d’ironia, corretto fino all’esasperazione, glaciale fino al disagio.
Tutte cose però che non impediscono a una certa classe di persone di trascorrere la vita d’albergo in albergo, passando regolarmente ogni anno attraverso tutti i Bristol, i Savoy, ì Balmoral Palace e i Royal delle metropoli d’Europa, e a un’altra categoria, meno errante e forse meno fortunata, di chiedere altrettanto regolarmente all’hotel l’ospitalità per i tre mesi estivi per quelli autunnali.
In realtà, nella denigrazione della vita d’albergo entra molta posa molto convenu, un pizzico di snobismo e anche un po’ di mala fede. A chi la contempli con occhio non ottimista, ma appena spassionato, codesta vita ritenuta antipatica, banale, artificiosa, detestabile, presenta dei lati simpatici e anche veramente preziosi, è praticamente comoda, interessante, perfino educativa.
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Comoda, sopratutto.
Basta immaginare l’arrivo nella vostra casa vuota e chiusa, dopo un’assenza più o meno