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per non passare per dei Werther in ritardo, per non sembrare anacronismi viventi nelle modernissime forme di vita, gli uomini hanno messo una specie di puntiglio nell’inaridirsi, nell’inscetticirsi nel sostituire il motto di spirito all'espressione ingenua e sublime della passione, nel lacerare colla frase cinica e irriverente il velo del pudore e la nube rosea della passione.

E noi, e noi li abbiamo seguiti!

Il contraccolpo di questo scetticismo, di questo cinismo, di questo modernismo arido e desolante ci ha colpite in pieno e ci ha, infine, travolte.

Toccò alla nostra adolescenza l’inibizione della poesia, del sentimento, della religione dell'ideale, della sete d’azzurro.

Toccò a noi di sentir deridere con una parola ch’ebbe un significato avvilente per l'anima nostra delicata e schiva — romanticismo, romanticume — le fioriture più squisite dell'intelletto e del cuore.

Non osavamo più cogliere un fiore, ammirare un paesaggio, commuoverci a un pezzo di musica, fissare una stellina d’oro, piangere sopra una pagina di un libro, senza sentire, prima ancora di riceverla, la puntura d’un sarcasmo, d’una canzonatura.