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gioita silente che ha nascosto forse chissà quale disperazione inconfessata, mi ha sempre fatto una profonda impressione.

Esso dice, meglio di qualsiasi commento, cosa sia e che possa diventare in una vita di donna il dono grande di una grande bellezza — dono tragico, che nessun destino d’eccezione può salvare dalla caducità inesorabile, che si muta perciò quasi sempre — e il quasi mi sembra anche superfluo — in una fatalità di sofferenza.

Una donna bella — veramente bella — di quella bellezza che trionfa di ogni discassione perchè s'impone a tutti e tutti piega in un omaggio d’ammirazione unica — è una stella fulgida che attraversa il cielo in una calda notte estiva vincendo col suo solco luminoso il tremulo brillare lieve delle pallide sorelle lontane, immote, ma per cadere poi e spegnersi con una inesorabilità che stringe il cuore.

Eppure, questa caducità non diminuisce certo la grandezza di quel dono divino che è la bellezza; forse, anzi, lo rende più prezioso e più intenso. Può, a una certa ora, mutarsi in malinconia, in tristezza, in disperazione, magari, per la stella che ha descritto tutto il solco e rientra ormai nel silenzio e nell'ombra,