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Firenze soterranea 111

lera, espose tutto. — Debbo la mia disgrazia — egli ripeteva — a mia madre. —

Avea un figliuolo: la carità di gente pietosa lo raccolse, fu vigilato, educato in un istituto: ne uscì un bravo operaio. Lasciato nel Ghetto, in mezzo alle congreghe di tanti furfanti, egli avrebbe seguito la strada del padre. Vedete miracolo della provvidenza sociale! E però è nostro debito vegliare: è colpa attenuare miserie, che esistono, per egoismo di non soccorrerle, palliare una nefanda corruzione, che si propaga, per non faticare ad emendarla.

Nel Ghetto sono varii ripari, non sta bene chiamarli alberghi, dove dormono a diecine ladri, regiudicati, tristi di ogni specie. La Polizia, come sapete, vi entra ad ogni ora della notte. E vi sono entrato anch’io per vedere, osservare. Qual gran pericolo ci è lì per l’igiene, la morale, la sicurezza di Firenze! È difficile trovare spettacolo più disgustoso, e di una maggior abiezione.

Uno di questi fu tenuto da una donna che avea passato varii anni nelle carceri, e avea per drudo un ex galeotto. Miser su una famiglia: dalla triste unione nacquer figliuoli. Oggi son tutti nelle Case di forza: donna, drudo, figliuoli, e gl’inquilini, che andavano a dormir nell’albergo.