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Quel pargoletto che di vita privo
65Piangi, mercè della fedel nutrice
(Sappilo e godi e Dio ringrazia) è vivo.
Fia di casta donzella oggi felice,
Che, spente l’ire, i tuoi nimici a lui
Disposeranno: e di cotal radice
70Verrà pianta onde fia germe colui
Che, dopo cinque secoli, di questa
Notte dirà con non vil carme altrui.
Oh come il veggio, oh come manifesta
M’è nel cospetto quell’età sì tarda!
75Oh quanta un vivo Sol luce le presta!
Un Sol, cui stupefatto il mondo guarda,
Tutta di bel disio, tutta di speme
Fa che la gente si ravvivi ed arda.
Qui ferve, dopo lui, più largo seme
80Di gentilezza, di saver, d’onore,
E d’agghiacciati venti ira non teme.
Qui tien mansuetudine ogni core,
Dolce negli atti e ne’ sembianti amica,
E parla caritade e spira amore,
85Ma fortuna vegg’io, sempre nimica,
Che dentro le molli anime allenti
Il santo ardor della gran fiamma antica.
Del fior vegg’io delle novelle menti
Poche seguir quel benedetto raggio
90Sol per cui si rallignano le genti.
Altri l’intera dell’uman legnaggio
Felicitate di lontan saluta,
E per lei vagheggiar torce il vïaggio.
Parte, anelando all’arduo ver, perduta
95Sovra l’ali fantastiche la traccia,
Torna di nebulose aure pasciuta.
Parte gl’ingegni d’allettar procaccia
Dietro all’arte che il Figlio di Maria
Sgombrò dal tempio, divampando in faccia.
100O intenzïon, forse benigna e pia,
Indarno, indarno che riesca aspetti
A meta liberal cupida via.