Pagina:Fiore di classiche poesie italiane ad uso della gioventù, volume II, Milano, Guigoni, 1867.djvu/352

Poi, sospirando, pel sentier montano,
     35Fra’ colorati dal cadente Sole
     Lugubri abeti, s’avviò pian piano.
Non era lungi ancor quanto trar suole
     Rustica fionda, che rattenne i passi
     E disse in chiaro suon queste parole:
40«Tra due liti d’Italia surgon sassi...1 »
     Indi, tenendo le pupille intente
     Al Catria, sommo di quegli ardui massi,
Alquanto seguitò sommessamente:
     Ma di fuor manifesto trasparia
     45L’imaginar della spirata mente
E riprendendo la silvestre via,
     Ecco un bianco eremita d’anni grave
     Che passo passo incontro gli venia.
Come pura, o Signor, come soave,
     50Disse il monaco, è l’aere, e mite il vento!
     Così quest’ermo a te faccian men grave
Le placid’aure che tornar già sento.
     E lo stranier a lui: Frate, che giova
     Di fuor la pace, se la guerra è drento?
55La benigna stagion ch’or si rinnova
     Vestì sedici volte il bel colore
     Dal dì ch’io fui sommesso a dura prova,
Nè ancor tregua ebbi mai di mio dolore.
     Con la dolcezza del natal terreno
     60Ogni dolce è rapito a gentil core.
Tralusse, a questo dir, come baleno,
     Nella faccia del monaco un disio,
     Ma non fe’ motto e chinò gli occhi al seno.
L’altro, che lesse in quel sembiante, O pio,
     65Disse, rettor del consecrato ospizio
     Che ignoto peregrin, qual mi son io,
Pronto accogliesti, il tuo cortese uffizio
     Vuol ch’io di me, de’ miei crudi pensieri
     Meglio ti porga che sì lieve indizio.

  1. Verso del canto XXI del Paradiso, ove Dante accenna del monte Catria e del monastero dell’Avellana.