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quel momento rimase in «società» e si mostrò allegra e democratica all’ultimo grado. I giorni passavano, azzurri, deliziosi. Si ascoltava la messa assai presto, si cucinava all’aria aperta, talchè l’uno sapeva ciò che l’altro preparava pel desinare, si pranzava sotto gli alberi, si correva pel bosco, si ballava, si cantava, si rideva, ma il più grande divertimento era la notte, allorchè sulla spianata splendeva il fuoco e intorno intorno vibrava nella oscurità stellata, sotto gli alberi fantastici, l’allegria pazza dei bimbi e l’allegria voluttuosa delle fanciulle sentimentali.

L’organino e la chitarra gemevano nella sera tiepida e vellutata, le vecchie storie passavano attraverso i guizzi rossi delle fiamme e sparivano all’ombra dei boschi, il venticello olezzante di lentischi e di giunchi susurrava un’armonia lontana, e il canto appassionato delle poesie sarde, s’innalzava nel silenzio delle montagne come un fremito di amore, con scoppi di baci ardenti, dati al chiaro di luna, e lento rigare di lagrime sui volti pallidi e dolenti.

E Lara era ricaduta nei suoi sogni. Aveva scordato tutti i dolori trascorsi, e sognava ancora l’amore! L’aria della montagna aveva fatto rinascere nel suo cuore il fiore della gioventù e dei sogni, poco importava che questo fiore fosse triste come il giacinto dell’inverno; era sempre fiore! A poco a poco, avvezzatasi all’orribile stanzetta addossata alla chiesa, non v’entrava che alla sfuggita di giorno.

Di notte dormiva poco, così sul suolo, sopra un solo materasso e con un po’ di freddo filtrante attraverso le canne del tetto nero, ma nelle sue lunghe veglie ella sentiva indistintamente il susurrìo del boschi e le campanelle delle gregge pascolanti sotto la rugiada, — strana musica lontana, vaga melanconia, che le cullava il pensiero intorpidito e gettava una specie di velo sovra i suoi ricordi angosciosi.

Un tarlo rosicchiava le travi del tetto. Il suo stridìo rauco, debole, incessante, si frammischiava agli altri rumori della notte e dava uno strano pensiero a Lara. Chissà da quanto quel tarlo lavorava lassù... forse da secoli; e secoli ancora occorrevano prima ch’esso riuscisse a rom-