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cielo di cristallo, color d’oro: — Oh, perchè son così povero, perchè?...

Allora Lara chinò anch’essa la testa dolente, pensando alla noia, alla tristezza che l’attendeva nella vasta e desolata e fredda casa paterna. Vi ritornava sana di corpo e malata di anima, più malata del come vi era partita...

Guardò le montagne, la pianura, il mare, e quando il mare, la pianura, e le montagne sparvero a poco a poco nell’orizzonte velato dalle penombre della sera, anche Lara provò lo stesso vuoto, la stessa angoscia di Nunzio e pianse silenziosamente, nell’ombra dei boschi e dell’imbrunire, mentre i zoccoli ferrati del suo cavallo risonavano silenziosi e cadenzati sulla durezza della strada deserta e rocciosa, accompagnati dal susurro del vento e del torrente, tutte note strazianti nella mestizia della solitudine del paesaggio sardo, che dicevano a Lara: — Piangi e non sognare mai più! — La vita è sinonimo di tristezza! — E Lara piangeva, ma non sognava più! Col mare erano sparite le isole verdi dalle casette di porcellana e gli alberi di smeraldo, — con le montagne erano sfumati i castelli neri, gli spalti e gli alti ballatoi di marmo, i paggi, i costumi di broccato e le storie, — e il castellano erasi trasformato in un giovane povero, di cui Lara non poteva neanche più pronunziare il nome.


XVI.


La prima impressione che provò nel rientrare nella casa paterna, fu di freddo; le stanze le parevano più grandi, più severe, più gelide, i mobili più oscuri: qualcosa di triste e di freddo come una prigione. Si era abituata all’azzurro infinito del mare, del cielo, delle montagne, al sole ardente, alla pianura selvaggia; ora il sole le sembrava tiepido, le sue montagne nere, la sua casa una prigione. Che contava più l’orto in confronto alla pianura della spiaggia? alla pianura immensa dell’orizzonte aperto e vastissimo? Le sembrò una derisione: non poteva andare più in là del cancello, i passi contati, il limite stretto. E poi quegli alberi dalle grandi ombre tremolanti! Lara odiava l’ombra; amava le macchie basse,