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si voleva guarita, e i bagni furono fissati prima della novena. — Si chiacchierò a lungo quali bagni si dovevano adottare, o quelli di Cagliari o di Alghero, oppure quelli di Gonone, nè si sapeva quali scegliere, allorchè, interpellato Ferragna, questi propose i bagni quasi sconosciuti di una piccola rada al nord est dell’isola, vicini ad un villaggio di cui ora mi sfugge il nome. — Là, — disse Marco, — il caldo non è asfissiante, come negli altri bagni, il sito è pittoresco, tranquillo, perchè solo due o tre famiglie possono a volta a volta abitare nel microscopico stabilimento eretto in riva la mare. Là la nostra piccina,(così chiamava Lara) che è di carattere romantico e nervoso, si ristabilirà più presto fra il silenzio e la poesia della costa veramente bella. — Non è vero, mia piccola Lara, — chiese Marco alla fanciulla, — che sarai più contenta di andare là che a Cagliari? — Se fosse stata sana, Lara avrebbe certo preferito mille volte Cagliari; ma nella spossatezza languida della convalescenza le arrise più l’azzurro della marina silenziosa descritta dal Ferragna e rispose di sì. — Brava! — riprese Marco, — vedrai che me ne sarai grata. Guarirai e ti divertirai assai.

Lara sorrise e gli stese la mano in segno di ringraziamento, perchè in verità ella voleva guarire ad ogni costo. Marco però l’abbracciò e la baciò in fronte. Da molto non la baciava più, sicchè lei parve offendersene e diventò rossa.

Marco se ne accorse, non disse nulla, ma pensò che invero non conveniva baciare una ragazza di diciassette anni, per quanto la si sia baciata da bambina, e si propose di non più farlo. Però quel giorno solo sembrò accorgersi che Lara era ben cresciuta; sino a quel giorno l’aveva considerata ancora bambina, ma allora si avvide che da bambina Lara erasi fatta una vezzosa fanciulla e l’esaminò curiosamente come una nuova conoscenza. Ad un tratto trasalì e una nube gli passò negli occhi; notava la forte rassomiglianza di Lara viva con Lara morta, rassomiglianza resa più grande dallo stato in cui la fanciulla si trovava. Sì, così, nel suo vestito di «cretonne» quasi bianco, nel pallore del volto e nel languido abbandono delle manine di cera sulle ginocchia