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la palazzina fu all’ordine, ed essi vi si stabilirono, aprirono un varco nel muro che divideva i due giardini, per poter più comodamente comunicare. Vivevano quasi sempre insieme; Lara e Marco passavano le serate in casa di don Salvatore, nella vasta stanza da pranzo dalle pareti bianche, dalla credenza nera e la tavola ampia di noce; le serate che ora si erano allungate di due o tre ore: le bambine, appena di ritorno dalla scuola, correvano dalla «grande» cugina, che si divertiva assai con esse, ritornando bambina, per ingannare le ore in cui doveva star lontana da Marco. E come le istruiva! — Maura, Maura specialmente, la grandetta, in pochi mesi, al contatto di Lara, nell’ambiente signorile della palazzina bianca, erasi fatta una perfetta signorina: parlava di musica e di libri, chiamava il raso «satin» e cominciava a ribellarsi alle continue preghiere che donna Margherita pretendeva recitasse. Le altre due, Speranza e Pasqua, troppo piccine ancora, una di cinque e l’altra di sette anni, non capivano un’acca — diceva Maura, ma lei, ma lei!...

Era una bimba strana, Maura; mingherlina, tanto da mostrare otto anni al più, mentre ne aveva dieci o undici, bianca e rosea, la bocca piccola, rossa, gli occhi grandi, oscuri, pensosi, i capelli biondi foltissimi e lunghi, parlava sempre, sempre, sempre; niente la meravigliava, e taceva solo in presenza di sua madre che temeva: e sarebbe diventata una perfetta monella se nata in una famiglia popolana, in cui poco si bada all’educazione dei bambini. — Nelle notti d’inverno, nelle notti del sabato, quando i domestici stavano riuniti intorno al gran fuoco del focolare e narravano fiabe spaventose, mentre fuori urlava il rovaio nella valle e gli alberi gemevano nei boschi del monte, Maura ascoltava intenta, gli occhioni spalancati, splendenti al riflesso della fiamma, senza tremare, mentre le serve e Pasqua e Speranza, rabbrividivano di terrore; e allorchè la fiaba era finita, un sorriso sfiorava il suo bel visino di rosa, uno strano sorriso.

— Sì! sì! — diceva Francesco, ch’era Logudorese, — nelle montagne di Nuoro, sapete, v’è la tomba di un gigante in cui sta chiuso un gran tesoro. Ma nessuno la può aprire, perchè è di granito e si deve «aprire», non