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e le faceva istintivamente pensare: — Ecco un altro che muore per mia causa!...
Il ricordo poi della promessa fattale da lui di abbreviare il tempo che la divideva da Massimo, promessa sfumata con la sua morte, le amareggiava ancor di più l’anima. Chi, chi li avrebbe ora aiutati, se non li tempo?...
Ma una fredda e nebbiosa mattina di novembre, i parenti, le serve e Massimo Massari furono riuniti per volontà del vecchio notaio nello studio del morto, e venne aperto il testamento di lui. Don Salvatore, sempre afflitto e sconsolato, da bravo zio e da buon suocero che ha visto morire il suo genero, guardava con occhio sicuro gli altri sette personaggi, convinto qual era che Marco avesse nominato sua erede universale Lara, e si spiegava la presenza di Massimo e delle domestiche dicendosi: — Avrà lasciato loro qualche ricordo! — In quanto ai parenti, poi... non v’era da pensarci: la loro presenza era perfettamente inutile.
Ma finita la solenne lettura del testamento, un po’ lungo e minuzioso, don Salvatore cambiò d’aspetto e d’opinione, e mentre i volti dei quattro parenti si allampanavano per la disillusione completa delle loro speranze, il suo diventò purpureo di sorpresa e d’ira. In quanto a Massimo, per poco non svenne; Marco Terragna lo instituiva suo erede universale, lasciando piccoli legati alle serve e non nominando per nulla don Salvatore e le figlie, o i parenti di Sassari.
Allora Massimo comprese a che alludevano le promesse di Marco e guardò don Salvatore; ma vide solo l’ira e l’odio scolpiti sul suo volto e si chiese tremando nel cuore, se realmente l’estinto aveva dato nel segno. Nel medesimo tempo gli balenò al pensiero l’idea confusa dell’immane sacrificio di Marco; impallidì spaventosamente e congedò balbettando i quattro cugini di Marco, che se ne andarono via con tre palmi di naso, convinti che la sua emozione provenisse dalla gioia, credendo di lasciarlo felicissimo, mentre egli in quell’istante si considerava per il più disgraziato degli uomini. — Partirono le domestiche, partì il notaio, dopo aver fatto i più vivi complimenti a Massimo, e ultimo restò don Salvatore nella casa in cui era entrato a piè sicuro, come in casa sua — da tre giorni, cioè dopo i funerali di Marco, la palazzina era ri-