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proprio del tutto ignota, rimetteva di giorno in giorno la sua dichiarazione. Che poteva temere? Amato da Lara amato da don Salvatore, che forse, chissà, sognava lo stesso sogno, che poteva temere? Viveva sicuro dell’avvenire e lasciava che in fondo al suo cuore crescesse il novello fiore, la splendida rosa nata su di una tomba, ma che doveva ridonargli tutte le voluttà della vita e della felicità, pronto a coglierla alla prima occasione per offrirla alla piccola fata, che inconsciamente, con la verga magica dei suoi diciotto anni e dei suoi grandi occhi pensosi, aveva fatto risorgere il sole sul suo pallido orizzonte velato dalle prime tinte dei crepuscolo. La sera del ballo, Marco non intendeva punto dichiararsi; un’illusione, il profumo del nastro, il braccio di Lara, mille nonnulla l’avevano precipitato, dando palpiti forti al suo cuore ringiovanito, lampi di amore al suo pensiero eccitato dall’ora, dall’ambiente, dagli sguardi di lei.
La risposta di Lara, data mentre egli credeva di vedersi cadere fra le braccia la fanciulla ebbra di amore e di felicità, come dicemmo, fu un getto di ghiaccio fuoco delle sue speranze, che da quel momento cominciarono a vacillare e a tremolare. Dunque, s’era ingannato? Lara non lo amava... forse ne amava un altro. Questo pensiero ridestava in lui dolori e passioni da molto spente nel suo cuore. La gelosia lo tormentava mentre il suo amore cresceva davanti agli ostacoli, ma in pari tempo la ragione gli gridava che non aveva alcun diritto di pretendere l’amore di quella fanciulla, da cui lo distaccavano quasi ventanni di età, quella fanciulla che sarebbe stata ancor giovine e bella mentre lui si gelava sotto i colpi della vecchiaia e dell’impotenza.
Ma vederla di un altro! Ma piangere nuovamente quasi per la sua morte, mentr’ella viveva ancora e prodigava il suo amore e i suoi baci ad un altro forse meno degno di lui! Ricominciare la lotta contro l’angoscia e il lutto invadente, ritrovarsi nuovamente solo dopo un anno di sogni e di progetti, ripigliare la maschera dell’indifferenza e sentire ridesto entro il cuore il tarlo dello sconforto e della disperazione, combattere di nuovo contro la solitudine, la desolazione, gl’istinti della fantasia e dell’anima, cercare ancora un conforto nel lavoro, nel tempo, nella lontananza, — perchè egli non credeva