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va sino al saper comporre una frittella di farina, zucchero ed uovo, ma, ma... ma certo tutte queste belle cose non bastavano, no!

— Bah! — pensava poi, confortandosi e volgendosi all’altro lato, — ci sono ancora due anni e sette mesi e mezzo e imparerò!

— Due anni e sette mesi! — ripigliava poi dopo un istante.

— Due anni e sette mesi! — urlava fuori con sarcasmo il vento.

Il viso di Lara si offuscava nell’oscurità e ben altri pensieri incalzavano nella sua mente, allora, scacciando i sereni disegni della donna di casa. Tornava la fanciulla fantastica che viveva di solo amore e quei due anni e mezzo assumevano la tinta di un secolo, di un lungo interminabile secolo. Non dovevano passare più e Lara morrebbe prima di arrivare alla sua meta. Era questa un’altra sua idea. Ella vedevasi e sentivasi consumare lentamente sotto l’incubo della passione, e forse questa era una realtà, e morire prima di giungere alla fine dei suoi sogni. Due anni e mezzo! Trenta mesi di febbre, di paura, di attesa e di amore delirante avrebbero ucciso l’uomo più robusto nonchè lei. — Su, era finita! Un giorno o l’altro ella doveva, stanca di trascinare la più triste delle esistenze, cadere sul suo lettino bianco e non muoversi più, e richiudere gli occhi al sonno eterno lontana da Massimo per cui moriva. Era finita, finita davvero! La fantasia di Lara si spingeva persino al di là e mentre fuori urlava la procella, essa sognava ad occhi aperti un sogno orrendo: suoi funerali! Ecco come una volta ne scrisse essa stessa a Massimo, che si desolava leggendo quelle strane visioni:

— «Dovevo dunque morire, finirla per sempre, davvero, con una esistenza non più sopportabile, eppure resa ancor cara dalla più ardente speranza. Mi pareva un sogno, e benchè avessi la più lucida percezione di ciò che mi circondava, pure vedevo i miei funerali sfilare lenti nella via; la bara sottile foderata di damasco bianco, coperta di rose, gigli e giacinti; e molta gente, come mai se n’era veduta al funerale di una fanciulla di X***. Sentivo il monotono salmodiare dei sacerdoti, che mi cullavano dolcemente, entro la bara, e la voluttà di essere