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XXVIII.


Quasi nel medesimo istante vibrò in lontananza un trillo di chitarra, e una voce sonora che cantava in gallurese una bella poesia d’amore. Massimo e Lara tacquero, come immersi in un’estasi sovrumana, guardando entrambi la medesima stella. La serenata si avvicinò fermossi sotto le finestre di casa Mannu, e, per un caso assai strano, la voce cantò in logudorese una poesia adattissima ai due giovani amanti:

  Appenas chi t’appo bidu,
Su coro mi nd’has furadu.
Amore m’has promittidu,
Amore, t’appo giuradu...
Attenta! su mundu infidu,
Nos cheret contrariare...

— Senti! — disse Lara, fremendo.

— Silenzio! — rispose Massimo.

— Se sapessero che siamo qui! — disse Lara dopo qualche istante.

— Silenzio! — ripetè il giovine: sorrisero entrambi mentre nella via proseguivano a cantare. All’ultima strofa la voce si fece più dolce e flebile come una carezza, come una promessa, e si spense lentamente nel silenzio azzurro della luna e della lontananza.

  Est su nostro castu amore,
Angelicu e non mundanu,
Chi su s’opponer est vanu,
Naralis senza timore...
Demus prestu, o bellu fiore,
Su chelu in terra gosare!...

— Hai sentito?... — chiese Massimo, stringendo la mano a Lara: e a sua volta chiudendo gli occhi, appoggiò la fronte ardente sulla spalla di lei, che gli carezzò dolcemente il viso con le sue manine di bimba. Qui accadde