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vino, & benissimo turati; il vino nondimeno evapora per il di fuori del fiasco certa materia bianca, che à saggiarla hà del’agro, & à uederla par sale. Non hà dubio, che quello evaporamento porta via qualche virtù del Vino.

Et che sia il vero; il Vino d’Orvieto, che si salva ne le trusse, ò iuste, che sono fiaschi di terra vetriati, se bene non vi si guasta; nondimeno perde qualche poco de la sua perfezione. Per l’opposito opera la cera. Quello spirito sottile igneo del vino non hà pure una forza di passarla à verso alcuno. Et se ve ne volete chiarire, dimandatene i Maestri che con l’acque forti fanno ò lettere, ò altre dipinture sù i ferri de le spade, coltelli, ò altro. Imperoche questi su’l ferro dove vogliono dipingere qualche cosa: vi danno prima una coperta sottilissima di cera. Poi; con una agucchia vanno di sopra quella cera scoprendo il ferro; & vi fanno ò lettere, ò fregi, ò quello, che lor viene di fantasia. Fanno poi certi arginetti pur di cera attorno, gli empiono d’acqua forte. L’Acqua forte rode il ferro in quella parte donde l’agucchia tolse via la cera. Dove poi la cera restò, per sottilissima ch’ella fù, etiam quanto si possa più dire sottile; l’acqua forte non harà potuto onninamente niente penetrare il ferro. Onde raccogli; che la cera etiam sottilissimamente data, resiste à la fora de l’acqua forte. Adunque maggiormente harà forza di resistere à lo spirito del vino, che non hà virtù, nè corrosiva, nè disunitiva. Di che vedrai manifestissima prova. Et la detta ragione s’è posta per esser tale, che ti può quietare.


La