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sente secolo, tanto ai bisogni dello Stato, quanto a quelli di molte altre provincie d’Italia1». Al principio del corrente secolo vi si aveano quattro fucine, nelle quali si fabbricavano eccellenti scartate, massini da vanghetto, assalotti; ma due ne rovinarono, e nelle due che rimangono non si lavora più che scuri, falciuole, zappe e chiodi. Non scarsa fu ai tempi del Regno Italico in alcuno dei nostri forni la fusione di bombe e palle da cannone; e nel forno di Gajazzo in Val Bondione, in uno con lodati opifici di ghisa, continuò pure a quest’ultimi tempi più o meno animata la fusione delle bombe. Ma di altre arme che fossero da fuoco e da taglio non ne potè essere affatto nulla; tanto era quell’industria dappertutto in generale, ma più specialmente nell’Impero Austriaco, sorvegliata e impedita. Ma ora, che le mutate condizioni politiche cambiano di necessità per la forza delle cose anche la condizione del commercio, sarebbe segno d’inerzia e di poca cognizione o fiducia che si avesse delle proprie forze e dell’opportunità dei tempi, se da codesta agitazione e nuova tendenza della società non si traesse occasione di tentare colla materia, che si ha ricchissima, nuovi argomenti di già sperimentati guadagni nella fabbricazione delle armi da guerra. E di vero, se dappertutto dove gli elementi naturali offrono un campo favorevole, vedonsi raddoppiare le esistenti officine e fondarsi nuovi stabilimenti, perchè una Provincia già rinomata in questi commerci, perchè le nostre Valli, che da secoli ebbero e si mantennero caratteristico il vanto di queste industrie, nol vorranno ora, se i tempi il consentano, con ogni sforzo riacquistare? I primi elementi, di cui già furono trovate ricche le nostre montagne, non sono venuti meno: l’attitudine dei nostri a così fatti lavori, se potè languire nella pratica, non


  1. Relazione del reggimento di Bergamo sostenuto nel 1786-87. da B. Mora.