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alto ed elegante. La polacca doveva già averlo notato perchè gli sorrise. Farro si voltò immediatamente, salutandola con un inchino.

Una vampata di sensazioni impreviste gli turbinò nel cervello — temette per un attimo di sentirsi vinto, piegato dal rimpianto — ma nessuna forma emotiva lo dominò. L’impressione non era che superficiale, indipendente dai sensi. Nei giorni passati, molte volte, era stato incerto tra la sicurezza più assoluta e il dubbio che rivedendo Sona non riuscisse a frenare il sentimento cicatrizzato. Ora invece un equilibrio cerebrale, lucidissimo, gl’impediva ogni tristezza — un respiro largo di liberazione gli dilatò le ultime riserve dell’ottimismo. Concepì finalmente il potere definitivo della propria individualità.

Osservava Sona attraverso lo specchio: era impossibile che quella femmina, bella di una bellezza strana, quasi nordica, aumentata dall’espressione mobilissima, fosse la stessa che aveva trascorso quattordici mei con lui. Eppure gli occhi grandi, la piega del sorriso, non erano cambiati — ma il pensiero non riusciva, non voleva combinarla col ricordo. La polacca gli sembrava un’altra — la valutava con uno sguardo di novità — neppure una sfumatura si riallacciava all’abitudine dei sensi. Comprese facilmente che il passato era isolato, ridotto al periodo della gioia trascorsa, senza possibilità di rinascita. Quella femmina non era Sona, non aveva nulla in comune con lei. Anche lui era un altro, completamente diverso.