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Nell’hall dell’Albergo Internazionale, nella sera piena di suggestioni tropicali, si ballava: la folla elegantissima barcollava tra le luci, tutti sembravano mossi dai fili della musica come burattini sensibili. Meticci peruviani dai movimenti brutali che stringevano i corpi elastici delle femmine europee — creole brune, calde come una febbre sensuale, dai grandi occhi scoppianti di desiderio, negli abiti aderenti che rendevano la seta affascinante, simile a un’epidermide superumana — ufficiali stranieri rigidissimi, nelle divise colorate.

La sala era un giardino di fiori di feltro, brillanti, ondeggiati dal vento furioso delle note e dei ritmi sincopati.

Sui sedili di cuoio i suonatori accompagnavano col movimento i ritmi epilettici — il jazz-bandista, allegrissimo, urlava comicamente i trapassi dissonanti.

Nel loro angolo chiaro, Sona e Farro seguivano le geometrie delle coppie. Avevano discusso a lungo con due francesi, pittori cubisti, pieni d’intelligenza guastata dalle infinite complicazioni cerebrali. Godevano ora, in silenzio, i problemi matematici della danza. Farro si volse verso Sona:

— «Guarda quel negro: sembra voglia soffiare nel saxofono i suoi polmoni. Gonfia le gote come un foot-ball: egli mi ricorda stranamente di una tua novella, scritta al «Biffi» di Milano, in un pomeriggio di gioia — mentre io avevo in fondo al cuore un po’ di malinconia, privato della tua voce e del tuo pensiero. Anche questo negro devee avere