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lettera, si avvedrà che questo libro merita più d’esser pensato che letto. Poiché la società di quel tempo con tutti i suoi errori e terrori, e con la sua gran religiosità non sempre unita alla virtù, ci fa molto pensare, e solo in questo ci rassicura che a nascer tardi abbiamo almeno avuta la gran fortuna di trovare già convenute e stabilite delle massime di morale, vere e svolte secondo la giustizia universale, ed ormai assicurate con solido fondamento nella coscienza umana. E questo è molto, se non è già quanto di certo ci può dare la civiltà.

Il buon fra Filippo nulla ci nasconde, tutto ci rivela il bene e il male del suo secolo infelice. In mezzo alle opere più belle di carità, agli atti più nobili di religioso fervore per parte di monaci o di secolari pieni d’ascetismo, tu t’imbatti tratto tratto in frati dissoluti, in masnadieri crudeli, in gente data a tutte l’intemperanze del peccato della gola, che è strada a tutte le depravazioni, come benissimo più volte nota il buon frate. L’usura, il giuoco, la bestemmia, sono i vizi capitali per i quali egli è inesorabile. Ed infatti erano le piaghe del suo tempo.