Pagina:Filippo da Siena - Gli Assempri.djvu/181


149

sotto e davagli ismisurata pena e tormento, e massimamente quando ebbe passati cinquanta anni: che spesse volte el dì si gittava a giacere su murelli del chiostro e mettevasi le mani sotto e ripegnevasi le interiorla nel corpo che gli scendevano, e quando v’era alcuno che gli sapeva aitare si ’l chiamava, e quando nol poteva avere si faceva egli stesso come poteva. El più volte el viddi che stregneva e’ labbri e denti e mostrava d’aver tanta pena che chiunque ’l vedeva faceva stupidire. L’altra infermità fu ch’egli era strettissimo del corpo et anco questa gli dava ismisurata pena intanto che poi alfine se ne morì. E per tutte queste infermità non perdonò mai a nessuna fadiga. Et i digiuni de la Santa Chiesa e dell’Ordine suo mai non preterivano, e le vigilie de la nostra donna et i venardì di marzo sempre digiunava in pane et acqua, e la mezzedima mai non mangiava carne. — Poi venendo el tempo che ’l Salvatore e Redentore di tutta l’umana generazione voleva ponar fine a le sue fadighe, nel cui luogo e priorato l’aveva servito cinquanta e quattro anni, sì gli crebbe la sua antica infermità et istette nel torno di dodici dì che non potè andare del corpo nessuna cosa. Sicchè vedendosi dover morire, mandò al Generale ch’era allotta a