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26 | TRATTATO |
ne, & tempi, si de batterli, come di farli carezze ò di tenerli solamente in timore, affaticandoli più, & meno, secondo poi quello maneggio, che se li fa fare, havendo l’occhio di continuo all’animo, & forze loro, & secondo quelle operare, nè mai temer di vitio, che nel cavallo fusse. Et si guardi di non imitare coloro, che da colera si lasciano trasportare, & fanno quello, che’l dover non vuole, ne la ragion comporta. Ne tolga ancho essempio da quelli, che danno si aspra fatica à cavalli, ò sia per voler vincere la poltroneria d’essi con assai batterli (il che causa contrario effetto, perche quanto più li danno tanto più s’inviliscono) ò sia pure, perche li trovano coraggiosi, & d’animo gentile, ma senza molta forza, che al fin poi li vengono à meno, per non sapersi temperare come si conviene. Et che sia il vero, vedasi, che hoggidì molti cavalli non giongono all’età di sei anni (quale in loro è più fiorita) senza difetto; percioche altri sono derrennati, ò decaduti di forza, overo arsi dentro; altri hanno rotti li piedi, overo la bocca, o che non si possono reggere su le gambe, perche tanto sono piene di mali, che nel porre li piedi in terra, par che si scotino, & altre infirmità, le quali tutte volendo io narrare, n’empirei un foglio. Et tutti li sopraddetti difetti procedono il più delle volte dalla troppa fatica, che li vien data nella sua tenera età dal cavalcatore; il quale per fare le cose sue senza temperamento ne buona ragione, causa questo. Et di più anchora, ch’il cavallo piglia assai vitij, come d’innalborarsi, di non si lasciar montare sopra, giocando di piedi, ò tirando alla staffa, ò mordendo, overo co’l non volersi partir dalla compagnia de gli altri cavalli, overamente, che si pone la testa fra le gambe tirando calci, & alle volte si getta à terra, ò che si vuole arrappar al muro; per questo dico, che si conosca le forze, & la sua natura, & secondo quelle piacevolmente seco si proceda; perche un cavallo fatto vitioso, & infermo da chi lo cavalca oltre il danno, ch’esso ne riceve, il cavaliere anchora scema assai dell’honore, & riputatione sua, il che è peggio assai per chi lo prezza. Intendendo io di dire à quelli, che di tal virtù si dilettano, à quali replico ancho, che fa lor gran bisogno il buon giudicio, & destrezza, per fare il tutto con fondate ragioni, volendo essi, che le cose li riusciscano bene, & che le briglie ancho, di che scrivo, gli siano compiutamente profitevoli.
Della natura delli cavalli frisoni. Cap. XXXVI.
PArendomi necessario, che’l buon cavaliere sappia conoscere le nature de cavalli, promisi di sopra volerne trattare, & però parlando primieramente nel presente capitolo di quella di frisoni, dico, che è poltrona, doppia, & vitiosa, & tanto più quando si comporta la sua poltroneria. Il modo ordinario, che con essa si dee tenere è procedere con asprezza, percotendoli senza rispetto alcuno volendone cavare buon profitto, & maggiormente quando si conoscerà, che vogliano fare delle sue; ma però avertasi bene quello si fa, quando si battono lassi,