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avvertenze. 47

Il d dopo l’n lo mutano quasi sempre in n; per esempio, in vece di mondo, quando, intenda, dicono: monno, quanno, intenna.

Al posto del gl mettono sempre la j, salvo quando, ma raramente, in luogo di fijo e fija, dicono fio e fia, e quando, più raramente ancora, in luogo di mijo (misura lineare) e mija dicono mio e mia.

Per la congiunzione condizionale se usano sempre si; e per l’affisso si, sempre se.

Le consonanti iniziali le pronunziano spesso con molta forza, e, nel corpo del discorso, spesso le raddoppiano addirittura, appoggiando la prima, se il senso lo permette, sull’ultima vocale della parola antecedente; per esempio: a pietà, pronunziano appietà; tu sentirai, tussentirai; ma che diavolo, maccheddiavolo. Il Belli metteva queste doppie consonanti; noi non le mettiamo. Raddoppiamo bensì, quando occorre, quelle nel corpo della parola, come doppo, commare, ec.; senza però raddoppiare come il Belli la j per gl (fijo), nè il g avanti all’n (bisogna), quantunque anche queste due si pronunzino quasi doppie.

Spesso la c, nelle sillabe cia, ce, ci, cio, ciu, ha un suono molle, quasi fosse preceduta da un’s (camiscia, disce, calisci, voscione, sciuco), e tutta la sillaba si pronunzia con uno strisciamento piano e uguale, non con quel colpo aspro che le si dà in italiano in floscio, fascio e simili. Il Belli metteva anche quest’s; noi no.

Egli metteva altresì una z, che noi non mettiamo, al posto dell’s, tutte le volte che questa sia preceduta da consonante.