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24 un nuovo poeta romanesco.

Cat.         Don Ghetano, è sonato mezzoggiorno.
                Làssem’annà.
Peppe.                               Ma diteme: аritorno?
D. G.      Sì, pòi tornà sicuro.... un artro giorno.
Cat.        Be’, je la famo?1
D. G.                                     Nu’ la senti?... Addio:
                     Saluta Pippo, sai? e ’n’artra vòrta
                 Poi, t’arigalerò ’na coroncina.
Peppe.     V’aringrazzio.
D. G.                           E de che? Chiudi la porta.
Cat.    Oh! mancomale!
D. G.                           E che c’è, Caterina?
Cat.    C’è ch’er riso se scòce,2
D. G.                                     E che m’importa?
Cat.    M’importa a me. - Accidenti a la duttrina!

      Lo scopo del poemetto a molti è parso affatto inutile, perchè, dicono, combatte un morto; ad altri invece dannoso, perchè scalza la fede. Nella contradizione di questi opposti giudizi, l’autore trova giustificata l’opera sua, che a me pare, non solo bella, ma anche buona e utile. Se molti se ne sono scandalizzati, è segno che il preteso morto è più vivo di prima; e a queste anime timide che si scandalizzano della verità, che è Dio stesso, e le antepongono la pia impostura, che non può esser che il male, il Ferretti risponderà con l’epigramma di Luciano Montaspro, dove c’è insieme


  1. Gliela facciamo? Cioè: «ci sbrighiamo, si o no?»
  2. Si scòce: passa di cottura; s’impancòtta, dicono nelle Marche e nell’Umbria,