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giudizio di egidio reale 213


de, dei suoi crepuscoli consumati da un antico languore del suo mare opaco, tremulo nel fondo delle pianure; delle sue donne dolci e devote, dei suoi uomini dallo sguardo intelligente e pensoso, dei suoi marmi, dei suoi silenzi, della sua disperata magnificenza. Come un’amante meravigliosa e indifferente, non si puó obliare questa Patria, e si desidera morire per essa. E, per morire per essa, è tornato senza speranza; ed ora si muore.

Come all’eroe della sua fantasia, ecco che una mesta, acuta accorata nostalgia assale il poeta, una nostalgia che gli preme, avvince, torce l’anima: nostalgia della casa lontana e del suo Ulivello, della mamma e del babbo, della sua Nina, delle fanciulle compagne lontane di giuochi, di sogni, di garruli trilli; nostalgia dei cieli tempestati di stelle, melanconicamente allietati dal canto dei grilli nascosti fra il fresco dei grani, nei campi odorosi di fieno. E, nella notte, egli intende e sente ancora una volta — realtà o fantasia della mente che corre dietro al sogno lontano — la canzone senza parole dell’usignuolo che così sovente ritorna negli scritti, nelle poesie, nei colloqui, nelle lettere: il canto che gli dà la sensazione e la nozione della divinità. E dal cuore gli sale improvvisa l’invocazione alla Vergine che egli aveva elevata dieci anni prima:

Vergine, te prego malato e stanco
poi che mi ha invaso coll’ombre il terrore
di scomparire, come il giorno muore,
senza aver scritto i mei sogni sul bianco.

Fammi creare, a te domando in grazia,
tutti i miei figli, chè ho in loro ogni bene,
e poi che muoia anche deserto e solo

No, dolce fanciullo poeta: la tua preghiera non sarà accolta. Nè la tua nostalgia sarà appagata.

No. Gli usignuoli della tua terra non canteranno per te l’ultima canzone, nè l’aurora tingerà il cielo di rosa, nè i crepuscoli appariranno consumati da un antico languore, nè il mare tremerà opaco nel




* La catena degli anni — Nuove Edizioni di Capolago, Lugano.