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188 | meditazioni sull’italia letteraria |
preferiscano esser leone, tengono sotto il petto l’astuta volpe. Ma come se questo non bastasse tu fai dello zelo: offri ai principi una definizione ricca di risorse politiche, che avrei avuto vergogna, non dico di scrivere, ma solo di pensare. Io non so come giudichi ora la Frode. Allora pensavi che «La Frode è un sottil disegno, a virtute aut legibus devium, e buono per i Re e per gli Stati». Tu pensi che la Frode è un «argutum consilium» quando io la considero come una triste necessità. Ma poi, chissà! Forse non è vero neanche questo!
Giusto Lipsio. — Lasciami rispondere con calma. Vorrei raddrizzare, se non ti dispiace, certi argomenti che hai storti alla tua tesi semplicemente con l’astuzia. Definiamo dunque la Ragion di Stato: il Botero, uno de’ suoi filosofi, ha scritto che la Ragion di Stato è «notizia di mezzi atti a fondare, conservare e ampliare un dominio così fatto ». Ma questa definizione, te lo confesso, mi sembra ipocrita, la Ragion di Stato. Lo sappiamo tutti, è una dottrina, che permette allo Stato, in certe occasioni, di violare la legge morale. Ma la Contro Riforma l’ha rinserrata, come si faceva coi venti, in certi otri santi. Non devi ridere, quando ti dico che la Ragion di Stato dev’essere unta dalla Chiesa. E’ già un modo di limitarla; questo diritto infame e necessario non è più concesso a tutti, ma solo a certi Stati legittimi, consacrati dalla Chiesa. Tu stesso hai detto che « il Principe naturale ha meno ragioni