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principii e critica in vasari | 147 |
26 Aprile
Ho letto oggi l’articolo di un critico, il quale diceva malissimo di un libro di cui avrebbe dovuto dir bene; e non sto a dire quanti ne ho letti, in cui si diceva benissimo di libri, dei quali il critico avrebbe dovuto dir male! I critici sono troppo liberi di fare queste piccole truffe. In nome di che principio si possono prendere in castagna? Dinnanzi alla sterminata vacuità del loro sistema di idee, chiunque deve arretrare. Vasari invece va incontro alla storia col petto scoperto. Dopo aver definito con parole chiare, se pur grossolane, che cosa è l’Arte, e che cosa sono le Arti, divide i tempi in tre epoche, che sono come tre scalini della perfezione — una divisione gerarchica.
Dalla perfezione somma del Cinquecento si discendeva verso la barbarie di secolo in secolo. Questo punto di vista si ritrova nel proemio alla III. parte, dove, a proposito degli artisti del quattrocento, scrive che le scoperte delle statue greche «furono cagione di levare via una certa maniera secca e cruda e tagliente, che per lo soverchio studio avevano lasciata in quest’arte Piero della Francesca etc., i quali per sforzarsi cercavano fare l’impossibile dell’arte con le fatiche, e massime negli scorti e nelle vedute spiacevoli, che siccome erano a loro dure a condurle, cosí erano aspre a vederle. Ed ancora che la maggior parte fussino ben disegnate e senza errori vi mancava pure uno
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