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134 | meditazioni sull’italia letteraria |
trire, qualche volta, l’ispirazione dell’arte, di imporgli un orientamento, di scegliere, di giudicare, di premiare e di condannare gli artisti. Ma questa forza non è infinita; e il pubblico puó seguire il crescere della sua arte fino che l’arte si rassegna a rimanere tra i limiti in cui puó sorvegliarla. Un pubblico come quello del quattrocento può essere il sottosuolo opulento dei suoi pittori e dei suoi scultori, fino a che non si pretenda che ammiri da un momento all’altro e con lo stesso candore e calore, la scultura negra, la pittura giapponese, l’architettura siamese.
Fino al Romanticismo il pubblico poteva sorvegliare un’arte che splendeva in ogni paese come un lago chiuso tra dighe e montagne; ma da quando il Romanticismo ha fatto ruinar le dighe, da quando, il vecchio lago luccicante e tranquillo s’è mutato in un oceano sconvolto da gigantesche maree, corso da profonde correnti, da quando in una esposizione ha avuto da giudicare cinque opere esposte sopra la stessa parete, di cui una aveva trovato un modello in Egitto, la seconda in Grecia, la terza nella Firenze del quattrocento, la quarta nella Roma del cinquecento, la quinta nelle lontane isole del Giappone, il pubblico si è staccato dall’arte, prima perchè l’arte lo aveva irritato, poi perchè lo intimidiva. Da quel momento è morta la critica. Prima, il pubblico era come un navigante che dovesse trovare un punto sopra una carta, avendo la longitudine; il critico non aveva che da fornirgli la latitudine.