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alle scuole di paesaggio dei giapponesi, o ai ritratti del quattrocento. Ce ne ha data una bella prova Fromentin descrivendo l’Olanda. Egli si meraviglia che l’Olanda rassomigli tanto alla sua pittura, e non pensa che, con l’occhio corrotto ormai dalla pittura olandese, ritrova le pitture nella Olanda solo perchè prima aveva visto l’Olanda nella pittura. Commentandogli la natura, l’arte si sostituisce alle cose, così che sfugge tutto quello che non rientra in questa visione prestabilita. Perpetuando in sè medesimo i suggerimenti incantati di quei pennelli, continua a contemplare un paese, pittore anch’egli in quel momento, alla stregua dei suoi pittori; ma se gli olandesi avessero dipinto come i giapponesi, Fromentin avrebbe ritrovato il Giappone sulle spiagge di Amsterdam.
Non è questo, ad ogni modo, il caso di cui voglio occuparmi: si tratta qui di un fenomeno culturale e di una semplice sovrapposizione. Voglio esaminare invece il caso, più raro e curioso, in cui cerchiamo veramente di spiegare il bello naturale come un’opera d’arte, senza che nessun ricordo di gallerie ci abbia costretto a vedere, nei lineamenti di un paesaggio, la pennellata di un quadro; il caso,