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come un oggetto, nel momento stesso in cui lo si pensa come infinito. Dinnanzi a un quadro in cui brillano i cieli più vasti, noi godiamo di contemplare questo prodigio che è una distanza, della quale non si può fornire come misura una unità, imprigionata in quattro confini d’oro, senza nemmeno meravigliarci di noi, con la stessa durezza chiara di pensiero e di ragionamento, con cui guardiamo, bianca e grossa sul primo piano, una casa. Noi godiamo dunque l’infinito raffigurato in un quadro, non solo perchè non proviamo la pena che ci dà l’infinito della natura, ma anche perchè non ne godiamo quel piacere, di cui ci ricordiamo come di una sofferenza.

Ma perchè mai l’infinito ci annienta nella natura e ci procura quando è dipinto un sentimento così gradevole di potenza? Perchè il vero cielo è un mistero, in cui non possiamo che naufragare; mentre abbiamo la chiave di un cielo dipinto in un quadro. Sappiamo di dove l’artista è partito per arrivare a quel risultato, possiamo calcolare i mezzi con cui è stato raffigurato l’infinito sopra un breve spazio di tela. L’infinito infatti, in pittura, ci riempie di godimento, solo perchè sopraffà misteriosamente una cornice ed un piano, e quelle armoniche trasparenze del cielo e quei