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modi: libero o incorniciato, chiuso soltanto nella riquadratura della pupilla, o tra limiti esterni, per esempio, tra gli affissi di una finestra.
Il primo genere di infinito ci dà insieme piacere e pena, perchè ci riempie nello stesso tempo di un sentimento di liberazione e di un sentimento di cattività; di liberazione, perchè rivelando a noi stessi l’attitudine che abbiamo di concepire l’inconcepibile, o dimostrando in noi, come diceva Kant «una facoltà che trascende ogni misura dei sensi» 2, ci suggerisce l’idea che possiamo in certo senso evadere da noi stessi; di pena, perchè ci rende coscienti dei nostri limiti e ci fa balenare dinnanzi il miraggio di una potenza divina, nel momento stesso in cui ci dimostra che non potremo raggiungerla.
Nella seconda specie di infinito il sentimento di pena è invece diminuito a beneficio del sentimento di piacere, non solo perchè la riquadratura di una finestra, evitandoci di giungere, almeno dai lati, ai confini del nostro sguardo, ci libera un poco dallo sforzo che dobbiamo fare per dirci che oltre l’orizzonte c’è ancora spazio, ma anche perchè questi limiti esteriori trasportano sulla materia l’angoscia della nostra limitazione spirituale.