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un letterato non è la natura, ma quello che vorrei chiamare l’infinito della natura.

Non penso nè all’infinito metafisico nè all’infinito matematico; cerco di esprimere, con questa formula, l’incalcolabile molteplicità di aspetti, che offre ogni cosa della natura, e le sostanze innumerevoli di cui si compone.

Se l’infinito della natura è appena sensibile alla maggior parte degli uomini, è invece l’ossessione di quelli che vogliono riprodurla.

Agli occhi di un pittore un albero o un viso sono infiniti come un cielo stellato. Pensate, per esempio, al caso, di un ritrattista. Un ritrattista ha dinnanzi a sè delle pupille che la luce fa scintillare, che i sentimenti, i pensieri, i desideri del modello ravvivano e spengono come il vento adombra o increspa la superficie del mare; una pelle che l’aria può colorare in verde od in azzurro, che si accende dello splendor di un velluto; un ritrattista ha dinnanzi a sè il mistero delle ombre, il problema inestricabile dei rapporti fra i vari toni, l’enigma, che ogni gesto moltiplica, delle relazioni fra il modello e le cose.

Gareggiare con la natura vuol dir riprodurre l’infinito in una cornice, e questa fu la grande ambizione di Leonardo. Poiché l’uni-