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che vero che un olivo, un cipresso, o un fiore, che non odori, non ci dànno fisicamente più gioia di un quadro. E vien fatto di dubitare che ci siano degli altri misteri da chiarire in questa maestosa questione, soltanto quando si pensa che, se per il bello naturale noi non esigiamo dagli altri la conferma del nostro giudizio, con quella violenza di sentimenti con cui l’esigiamo per l’arte, siamo pur sempre più esigenti che per il piacevole. Il bello naturale, infatti, ridotto a un piacere fisico, non sarebbe diverso da quello che suscita in noi il bere, il mangiare, o come diceva Kant, persino lo spirito, ed è noto che nessuno in questo caso esige l’universale validità dei proprii giudizi.

E allora, perchè il bello naturale non ci dà la chiave di quello stesso piacere, che ha provocato in noi? Perchè non possiamo assoggettarlo a delle leggi estetiche?


Abbiamo definita una legge estetica «quella che sottintendendo o enunciando un fine e una necessità, limita i mezzi con cui si può raggiungere il fine violando la necessità».

Il fine (e cioè l’opera d’arte) è un tutto,