si capisce che soltanto nel suo mondo spirituale potesse maturare l’idea, che faceva dell’opera d’arte un rivale dell’universo, facilmente in quel furore ciclopico Leonardo avrebbe dovuto sognare una fantastica liberazione dalla tecnica della pittura e volendo ingrandirsi i mezzi, a misura che il fine diveniva più vasto, naufragar nell’immenso. Michelangelo ha avuto il suo momento di gigantesca pazzia, quando ha pensato di scolpire una montagna della Versilia. Ma Leonardo ha scritto: «Dico esser più difficile quella cosa che è costretta a un termine, che quella che è libera». E si è costretto a un termine. Ora, egli non aveva tollerato nessun limite alle sue indagini, nessun mistero nei vasti moti dell’universo. Oltre che pittore, egli era scultore, architetto, chimico, fisico, naturalista; viveva perciò tra i frutti più opulenti della natura e tra le forme più belle e varie dell’arte, in mezzo ai segreti umani e divini dell’universo. Sapeva che la natura rapprende in una unità i colori, le forme e le architetture, e le immerge nella profondità dello spazio. Mi pare che non sia stato abbastanza ammirato come quest’uomo, in cui si riassumevano così vaste esperienze, non abbia pensato, quando volle dar fondamento a un mi -