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quità, moto e quiete. Lo scultore solo ha da considerare corpo, figura, sito, moto e quiete; nelle tenebre o luce non s’impaccia, perchè la natura da sè le genera nelle sue sculture; dei colori nulla, di remozione o propinquità se n’impaccia mezzanamente, cioè non adopera se non la prospettiva lineale, ma non quella dei colori, che si variano in varie distanze dall’occhio di colore e di notizia de’ loro termini e figure. Adunque ha meno discorso la scultura, e per conseguenza è di minore fatica d’ingegno che la pittura»16.
Questi «dieci ornamenti del mondo» sono semplicemente dieci difficoltà da risolvere. Non se ne «impaccia», scrive della scultura e per conseguenza è «di minore fatica d’ingegno».
Quando mancano dunque queste «difficoltà»? Quando l’artista «è aiutato dalla natura». Quando mai l’arte è di più «sottile speculazione»? Quando, senza essere aiutata dalla natura, raggiunge gli stessi effetti. Un’arte è dunque tanto più grande quanto più è umana e quanto meno è naturale.
«La pittura, scrive, è di maggior discorso mentale che la scultura e di maggior artificio o meraviglia che la scultura; conciossiachè la