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resse. Che importavano tutte quelle guerre, quelle vittorie, quelle lotte civili, se Dio non c’entrava per nulla, poiché badava solo al risultato, e cioè all’unità dell’impero, come quella che doveva essere la gigantesca culla del redentore? A che serviva ormai la dottrina della corruzione, se le virtù civiche, che Sallustio e Livio opponevano alla corruzione, erano anche esse corruzione e male? E neppure la storia di Tacito, con quella sua sollecitudine della morale personale, poteva attrarre il pensiero cristiano. Dinnanzi a S. Agostino, il quale trova giusto che i buoni ed i cattivi godano e soffrano ugualmente, perchè secondo la dottrina cristiana saranno puniti e premiati con equità nella vita oltre mondana, come grossolana doveva sembrare la giustizia di Tacito, il quale aveva scritto per punire col suo stilo di storico i cattivi ingiustamente felici sulla terra, senza neppure sospettare, che secondo la dottrina cristiana i buoni e i cattivi reagiscono diversamente alle disgrazie e alle fortune. Infatti come « sotto lo stesso fuoco l’oro scintilla e la paglia fumiga... e l’olio e la morchia non si mescolano, quando sono espulse dallo stesso peso del frantoio, così una uguale disgrazia, se piomba sui buoni li prova, li purifica e li fa splendere, sui cattivi li tormenta, li rovina e li stermina! » 1.

Tutti i sentimenti, tutte le istituzioni, tutte le credenze romane sono a poco a poco trasformate ed alterate. La saggezza diventa follia, il bene diventa il

  1. (1) De Civit. Dei, I, 8.